Difesa del suolo in Italia: quale costo e quale beneficio?


“Dopo la tragedia nel Trevigiano abbiamo visto discutere di cambiamento climatico e di dissesto idrogeologico anche  i tanti ecoscettici che nel settembre 2007 bollarono come esagerate le richieste della Conferenza nazionale sul clima, dove tanti esperti parlarono di bombe d’acqua e lanciai la richiesta di un piano nazionale di adattamento per migliorare i sistemi di allerta .
In quegli anni cercai anche di varare un osservatorio nazionale per la difesa del suolo e la tutela delle acque per controllare l’efficacia della spesa contro il dissesto idrogeologico, ma quella idea fu abbandonata.
Ho chiesto a Claudio Margottini, grande esperto di difesa del suolo e componente del Comitato scientifico della Fondazione UniVerde un suo contributo che pubblichiamo volentieri sul nostro sito.”
Alfonso Pecoraro Scanio

Difesa del suolo in Italia: quale costo e quale beneficio?

Claudio Margottini
Huazong University of Science and Technology, Wuhan (Cina)
Comitato Scientifico Fondazione Univerde

Introduzione
I  disastri naturali sono un tipico esempio di sviluppo sociale ed economico in conflitto con l’ambiente naturale. Ciò dietro la consapevolezza della complessità delle interdipendenze e connessioni tra processi naturali, assetto ed utilizzazione del territorio, e pianificazione urbanistica e territoriale. Tali connessioni sono drammaticamente evidenti in occasione di grandi eventi catastrofici. Il sistema urbano è peraltro cresciuto molto nel corso degli ultimi decenni. La crescita ha causato un incremento della vulnerabilità, e ha contribuito ad aumentare, in misura ancora da definire, l’estensione delle aree predisposte a eventi estremi, come ad esempio le frane e le alluvioni, e la frequenza degli impatti disastrosi.

Da dove veniamo?
Si dice, giustamente, che l’Italia è un paese “giovane”, dal punto di vista geologico e quindi molto esposto alle dinamiche di smantellamento dei rilievi che si esplicano principalmente attraverso frane ed alluvioni.
A dimostrazione si può citare che, dal VII sec. d.C. al 2008, la Banca Dati AVI del CNR riporta circa 4600 eventi franosi ed alluvionali che hanno causato vittime e/o danni e centri abitati. Tale dato è comunque fortemente sottostimato, se si pensa che, solo ad Orvieto, sono state censite 197 frane dal 1139 al 1990, mentre a Todi sono stati censiti 225 eventi dal 1150 al 1991 (Martini & Margottini, 1999).
Le dinamiche geologiche tendono quindi ad impattare su un territorio che è andato sempre più urbanizzandosi, a volte anche in modo non regolamentato oppure abusivamente, al punto che dai 13.200.000 abitanti del 1700, si è arrivati ai 17.800.000 del 1800 fino a poco più di 22.000.000 dopo l’unità d’Italia per arrivare agli attuali circa 60.000.000 di residenti.
Il quintuplicarsi della popolazione negli ultimi 300 anni ha ovviamente portato ad un forte incremento delle strutture residenziali abitative, alle quali si è poi aggiunto l’incremento di insediamenti industriali, principalmente nel XX sec.. Solo nel periodo 1956 – 2010, il consumo di suolo in Italia è passato dal 2,8% a  6,9%, con una superficie urbanizzata che era pari ad 8.600 Km2 nel 1956 per arrivare a 20.700 Km2 nel 2010 (Munafò & Tombolini, 2014). E’ comunque degno di nota che, il maggior sviluppo edile si è avuto in coincidenza con la crescita economica degli anni ’60, a valle di un periodo con basse portate fluviali, che ha contraddistinto l’intero continente Europeo, principalmente dal 1910 al 1950 e dal 1960 al 1970 (Probst, 1989).

Il clima cambia?
L’aumentata densità abitativa, e quindi vulnerabilità, fa si che gli eventi che nel passato erano poco impattanti sull’ambiente antropico, oggi tendono a divenire catastrofi. A tutto questo si aggiunge l’evoluzione del clima: le analisi scientifiche sui cambiamenti climatici in atto ed attesi per il futuro sembrerebbero indicare un peggioramento delle condizioni di pericolosità geologica ed idraulica del territorio. In particolare si prevede, nel quadro di una diminuzione generalizzata delle precipitazioni, l’incremento di episodi piovosi intensi e di breve durata. Questo favorirà l’innesco di fenomeni franosi ed alluvionali a rapida evoluzione (si veda l’evento di Sarno del 5 maggio 1998, ma anche quelli di Giampilieri dell’Ottobre 2009, delle Cinque Terre del 25 ottobre 2011 fino al recentissimo disastro di Refrontolo del 2 Agosto 2014), difficili da localizzare nella loro ubicazione e capaci di causare numerose vittime e gravissimi danni. Per i fenomeni franosi lenti è ipotizzabile invece una tendenza verso una fase di quiescenza, seppur da prevenire per l’evoluzione negativa nel medio-lungo periodo, date le difficoltà di ricarica della falda sotterranea, in conseguenza dei mutati stili di precipitazione (Margottini et al., 2007);

Dissesto idrogeologico in cifre.
Le aree ad alta criticità idrogeologica da frana e alluvione sul territorio italiano, ossia quelle aree dove danni a persone o cose sono possibili, risultano pari a 29.517 km2 di cui 17.524 km2 per frane e 12.263 km2 per alluvioni. Si tratta del 9,8% della superficie nazionale, con 6.633 comuni interessati pari all’81,9% dei comuni italiani (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, 2008).
Il territorio nazionale comunque è interessato da circa 486.000 fenomeni franosi attivi o quiescenti che interessano un’area di 20.721 km2, pari al 6,9% del territorio nazionale (Fonte ISPRA, Progetto IFFI). Indagini di dettaglio indicano come tali cifre, seppur molto elevate, sottostimino la franosità reale in Italia. Una buona parte dei fenomeni cartografati sono “lenti”, e ad oggi manca una esaustiva percezione della “dimensione” dei fenomeni rapidi e delle aree suscettibili (dove l’evento potrà verificarsi, con quale intensità).
La mosaicatura dei PAI prodotti dalle Autorità di Bacino, per tempi di ritorno di 300/500 anni, evidenzia infine una notevole presenza di aree alluvionali sull’intero territorio nazionale.
Relativamente ai soli fenomeni franosi, dalle analisi effettuate a partire dai dati raccolti dal progetto IFFI, realizzato da ISPRA e dalle Regioni, emergono i seguenti numeri:

  • La presenza di circa 990.000 persone in aree in frana, pari all’1,7% della popolazione Italiana (56.995.744 abitanti) (intersezione tra frane mappate dal progetto IFFI con l.382.534 sezioni di censimento ISTAT);
  • 5.708 comuni italiani (70,5%) interessati da fenomeni franosi, di cui 2.940 con livello di attenzione molto elevato (frane che interessano i nuclei urbani);
  • 706 punti di criticità lungo i 7.000 km di rete autostradale italiana, in corrispondenza dei quali il tracciato potrebbe essere interessato dalla riattivazione di frane già censite e cartografate dal progetto IFFI;
  • 1.806 punti di criticità lungo i 16.000 km di rete ferroviaria italiana in corrispondenza dei quali il tracciato potrebbe essere interessato dalla riattivazione di frane già censite e cartografate dal progetto IFFI.

Ai dati di cui sopra si aggiungono gli 11.155 beni culturali localizzati all’interno delle fasce di pericolosità con tempo di ritorno 300/500 anni per alluvione e gli oltre 5.500 beni culturali localizzati in un buffer di 20 m dalle frane riportate nel progetto IFFI (Spizzichino et al.,  2013).

A questo punto, quante risorse sono necessarie?
Nei Piani stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI) redatti dopo la catastrofe di Sarno, sono stati individuati più di 11.000 interventi riconosciuti come necessari alla sistemazione complessiva dei bacini, per un fabbisogno di circa 44 miliardi di Euro, di cui 27 miliardi per il Centro-Nord e 13 miliardi per il Mezzogiorno, oltre a 4 miliardi per il recupero e la tutela del patrimonio costiero. Circa 11 miliardi di Euro sono necessari per mettere in sicurezza le aree a più elevato rischio idrogeologico. La cifra comprende le opere e la manutenzione del territorio, ma non valuta i costi indiretti degli interventi non strutturali. Non comprende inoltre gli interventi di manutenzione straordinaria sul patrimonio delle opere di difesa esistenti, per le quali la normativa prevede che le Regioni provvedano alla ricognizione sullo stato di conservazione al fine di verificarne la reale efficacia a contrastare i fenomeni avversi attesi.

Quanto è stato speso da Sarno ad oggi?
I soli finanziamenti del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) utilizzati tra il 1999 e il 2013 per la messa in sicurezza del territorio da frane e alluvioni, sulla base di quanto disposto dal Decreto Legge 180/1998 e sue modificazioni e integrazioni, ammontano a 4.473 Milioni di Euro per 4.903 interventi (fonte: ISPRA, Banca dati Rendis); a questi si aggiungono 3.387 MEuro erogati nel periodo 1991-2003 con le procedure stabilite dalla Legge 183/1989 (Fonte ISPRA, Banca Dati Rendis) e 1.531 MEuro  di fondi ex CIPE nel periodo 1998-2008 (Giannella & Guida, 2010).
A questi si aggiungono i 3.456 MEuro  provenienti da ordinanze della Protezione Civile nel periodo 2003-2012.
Non sono invece chiare le risorse provenienti da altre Amministrazioni dello Stato. Un aiuto in questa direzione viene comunque dall’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici che pubblica annualmente importi e bandi per le diverse categorie di interventi. In particolare,  sono disponibili dal 2005 le sintesi numeriche e dal 2007 quelle economiche dei bandi che avevano la difesa del suolo come categoria prevalente (Categorie SOA OG8, OG13 e OS21); si evidenzia che sono stati emanati bandi per 689.000 € nel 2007, 892.000 € nel 2008, 823.000 € nel 2009, 839.000 € nel 2010, 828.000 € nel 2011 e 718.000 € nel 2012. In totale, nel periodo 2007-2012 sono stati pubblicati bandi ad evidenza pubblica per 4.789.000 €.
Gli importi medi di tali gare ammontano a 0,652 MEuro nel 2007, 0.686 MEuro nel 2008, 0,679 MEuro nel 2009, 0,541 MEuro nel 2010 (fonte: Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici). Quanto sopra vale per bandi di gara superiori a 150.000 €. Solo nel 2012 vengono contabilizzati anche gli importi inferiori a tale soglia, aggiungendo 107.000 € alla cifra di 718.000 €, la quale contribuisce per circa il 13 % agli importi dei bandi emanati.
Sempre secondo l’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici, i bandi ed inviti di gara nella difesa del suolo, nel periodo 2005-2012 hanno comunque subito una flessione, con 1.739 gare pubblicate nel 2005, 1.964 nel 2006, 1.055 nel 2007, 1.297 nel 2008, 1.210 nel 2009,  1.548 nel 2010,  1.327 nel 2011 e 1.053 nel 2012. In totale, dal 2005 al 2012 si hanno comunque 11.193 bandi di gara per appalti nella Difesa del Suolo (fonte: Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici);
E’ degno di nota che, tra le 37.899 imprese italiane attive nel settore dei lavori pubblici, quelle iscritte anche nelle categorie SOA che consentono di adire a bandi di gara nel settore della protezione e mitigazione del dissesto idrogeologico rappresentano circa il 30% del totale (fonte: Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici);
Si segnala infine come, prendendo a riferimento l’attività svolta negli anni 2005 e 2006, negli anni successivi gli interventi di ingegneria naturalistica (OG13) abbiano subito una riduzione di circa il 60% (fonte: Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici);
Purtroppo non esiste un compendio chiaro ed esaustivo sulle risorse impegnate nel settore della Difesa del Suolo. Queste si ripartiscono tra i finanziamenti del Ministero dell’Ambiente e delle Regioni, quello di altre istituzioni quali la Protezione Civile, la Presidenza del Consiglio dei Ministri con i finanziamenti dell’8 per mille e molto altro ancora.  Inoltre, in Italia manca ancora un data base univoco di progetti ed appalti. Basti semplicemente citare la coesistenza del CUP (Codice Unico di Progetto) attribuito ai sensi della normativa CIPE e del CIG  (Codice Identificativo di Gara) attribuito dalla normativa di riferimento dell’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici.
Una sintesi complessiva sui costi sostenuti dal Paese per opere di mitigazione di frane ed alluvioni, senza considerare i finanziamenti per il risarcimento a privati, porta ad un valore preliminare, per i periodo 1999-2013, compreso tra i 14 Miliardi € ed i 18 Miliardi €. Complessivamente si tratta di oltre 11.193 bandi nel solo periodo 2005-2011, i quali dovrebbero comprendere gran parte dei 4.903 decreti del Ministero dell’Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare ai sensi del DL 180/1998 e s.m.i. emanati dal 1999 al 2012, altri bandi di Amministrazioni dello Stato e, forse, solo in parte le ordinanze della Protezione Civile riferite al periodo 2003-2012.
Conclusioni?
Le conclusioni di questo excursus evidenziano che, a fronte della richiesta delle Autorità di Bacino per 44 Miliardi di € (40 per frane ed alluvioni e 4 per opere costiere) relativi a 11.000 interventi di messa in sicurezza del territorio nazionale, lo Stato, nel periodo 1999-2013, ha già speso una cifra compresa tra i 14-18 Miliardi di € per oltre  11.000 interventi (11.193 bandi sono solo quelli censiti dell’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici nel periodo 2005-2012).
Se il problema non sono quindi le risorse, dove sono le criticità se si continua a perire per frane ed alluvioni?
Il problema fondamentale è l’uso del suolo e l’urbanistica, anche in condizioni di abusivismo edilizio, che ci hanno restituito un territorio dove sono state urbanizzate aree tradizionalmente percorse da eventi naturali. In particolare il rapporto tra le politiche di urbanizzazione degli ultimi 30-40 anni e la distribuzione delle aree suscettibili a frane ed alluvioni, che hanno generato esposizioni importanti di insediamenti ed infrastrutture in aree a rischio; quanto detto anche a seguito di scenari idro-climatici più aridi a cavallo del periodo 1910-1970, dove si è in parte smarrita la memoria storica degli eventi estremi, ai quali si sono succedute grandi fasi di sviluppo economico negli anni ’60-’70’. In particolare diviene oggi necessario coordinare la pianificazione per la difesa del suolo con le leggi urbanistiche e con i piani regolatori, soprattutto con quelli urbanistici comunali, e non soltanto con i grandi piani territoriali. Spesso, infatti, gli enti locali – per motivazioni politiche, quali ad esempio l’approvazione dei piani urbanistici o la destinazione delle aree edificabili – non attuano il principio della prevenzione e, a volte, gli interventi pubblici – scuole, caserme, ospedali, stazioni – vengono costruiti in aree residuali, quali quelle in prossimità dei fiumi (Commissione VIII, Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici, 2009).
Sull’urbanistica si dovrà necessariamente intervenire per la messa in sicurezza, prima ancora che nella mitigazione strutturale e, comunque, di concerto con questa. Si ricorda il tentativo, che spesso avviene, di deperimetrare aree inizialmente a rischio e che oggi, ad esempio dopo arginature importanti, vengono considerate sicure dalle alluvioni. Ma chi garantisce poi per la stabilità e manutenzione degli argini nel tempo?
Un ulteriore problema sono i limiti della conoscenza scientifica nel settore, che ancora non consente di determinare scenari previsionali accurati per i fenomeni rapidi, particolarmente nel dominio del tempo ma anche in quello dello spazio. L’aggiornamento dei piani è di conseguenza molto complesso, specialmente con Autorità di Bacino che non hanno le risorse per migliorare la conoscenza e frequentemente, ci ritroviamo con piani obsoleti basati su modelli idrologici ed idraulici superati. Questo ha provocato situazioni anomale che vengono periodicamente aggiornate, generalmente dopo le catastrofi, da Autorità di Bacino oramai allo stremo e senza una effettiva capacità dei gestione sul territorio. Un aggiornamento significativo sarebbe indispensabile, a valle dell’acclarata evidenza di cambiamenti climatici in atto. Così come sarebbe necessario il rilancio delle autorità di bacino o distretto.
Inoltre, i PAI hanno avuto una genesi che si appoggiava allo stato della conoscenza dell’epoca, senza però una rigorosa metodologia unitaria sull’intero territorio nazionale.
Significativi sono anche le mediane degli interventi per la difesa del suolo, troppo vicine alla soglia di 500.000 € al disopra della quale si rende necessaria la pubblicazione presso la Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. E presumibile che ci siano episodi in cui gli appalti, al disotto di questa soglia, vengano gestiti tramite licitazione privata tra Pubbliche Amministrazioni ed imprese in un coacervo di illegalità che va a detrimento della sicurezza dei territori e delle popolazioni. Da questo punto di vista, nel 2006 venne istituito, presso il Ministero dell’Ambiente,  l’Osservatorio Nazionale per la Difesa del Suolo e la Tutela della Acque (Legge 27 Dicembre 2006, n. 296, Finanziaria 2007, art. 1132), proprio con lo scopo di verificare i flussi finanziari e gli obiettivi delle voci di spesa, in Italia, nel settore del dissesto idrogeologico. Ovviamente, tale strumento non venne più implementato dai Governi successivi.
Infine, le norme che attribuiscono ai Sindaci la responsabilità della Protezione Civile, seppur corrette da punto di vista formale, in realtà conferiscono a persone inesperte la titolarità della sicurezza dei cittadini. Forse è esagerato parlare di una commissione grandi rischi in ogni comune ma, sicuramente, il livello di abbandono scientifico in cui sono lasciti tali uomini e donne, a fronte di un responsabilità enormi, è palese. Sarebbe sicuramente necessario “investire” nelle politiche di formazione, educazione e comunicazione quali strumenti di prevenzione per la mitigazione degli impatti;
In conclusione si ravvisa la necessità di una nuova politica gestionale della difesa del suolo, con un coordinamento ottimale tra gli interventi in tempo reale (Protezione Civile) e quelli nel tempo differito (politiche di prevenzione e mitigazione). In altre parole, la necessità di una nuova legge di Governo del Territorio che ricostruisca la filiera delle competenze tecnico-amministrative e contribuisca ad una corretta pianificazione e gestione del territorio.

Scarica il testo in pdf:
Difesa del suolo in Italia pubblicazione finale

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