Clima ed Energia: L’Italia alla prova

Il balletto delle cifre che si è succeduto nelle ultime settimane rispetto ai costi del pacchetto, ha visto l’Italia sostenere la tesi di una penalizzazione che va dai 23 ai 27 miliardi di euro all’anno, mentre per Bruxelles il costo sarebbe di 18 miliardi circa. Le cifre sono basate su un rapporto della stessa Commissione Europea che traccia ipotesi e scenari diversi, a seconda del grado di dinamicità dei Paesi UE nell’affrontare la sfida sulle rinnovabili e sull’efficienza energetica. L’Italia, in appoggio alla sua tesi relativa all’eccessiva onerosità, ha tenuto in considerazione il worst scenario, ossia la completa passività del Paese rispetto all’innovazione, il che significa solo oneri imposti e nessun investimento sulle energie pulite e sull’efficienza. Al contrario, il Commissario all’Ambiente Stavros Dimas, ha fatto notare quanto invece l’Italia sia in una posizione privilegiata, in grado di poter sfruttare le proprie risorse naturali.
Il rischio di delocalizzazione delle industrie cosiddette “energivore” è reale, visto che industrie simili di altri Paesi non sottoposte agli stessi vincoli, sarebbero favorite da questa sorta di dumping ambientale. Su questo punto il Governo Berlusconi dà continuità ad una battaglia cominciata da chi lo ha preceduto, con la differenza che Prodi non ha minacciato veti, ma ha insistito nella ricerca di un compromesso utilizzando la via del dialogo.
La terza ragione addotta per contrastare il pacchetto “clima – energia” è legata alla proposta di direttiva “CO2 auto”, perché, ed è vero, risulta sbilanciata a favore delle auto tedesche più pesanti ed inquinanti, a discapito della produzione italiana caratterizzata invece da alta efficienza e bassi consumi. Anche questa battaglia fu propria del Governo Prodi e da questo punto di vista il nuovo Governo agisce in continuità. Quello che non va bene nella strategia del Governo Berlusconi, per una questione di onestà e correttezza, è il fatto che la proposta di direttiva sulle auto all’interno del pacchetto “clima – energia” viene inserita strumentalmente, mentre ne è distinta. Il pacchetto ingloba, infatti, i seguenti provvedimenti: una proposta di Direttiva per le fonti rinnovabili, una proposta di emendamento della Direttiva 2003/87/CE sullo scambio di quote di CO2, una proposta di Direttiva per la regolamentazione dello stoccaggio geologico della CO2 (Direttiva CCS) e una proposta di Decisione per la ripartizione degli oneri di riduzione delle emissioni nei settori trasporti, agricoltura e edile (GHG burden sharing). La confusione tra provvedimenti legislativi distinti contribuisce all’indebolimento della posizione italiana, in quanto indice di un approccio superficiale o volutamente strumentale. Ancora oggi non si capisce, infatti, se il veto sarà posto sull’uno o sugli altri provvedimenti.
Oltre alle obiezioni tecniche e di merito, vi sono anche considerazioni di natura politica che guidano la mano del Governo; in particolare l’utilizzo di toni aspri ed eccessivamente polemici lasciano intuire una strategia comunicativa avente l’obiettivo di manifestare a livello europeo una scelta di campo a favore della salvaguardia di un sistema produttivo fondato sull’industria tradizionale, a discapito delle nuove produzioni “verdi”. All’unisono i Ministri Scajola, Ronchi e Prestigiacomo, nonché il premier Berlusconi, nella premessa dei loro discorsi assicurano sempre di concordare con gli obiettivi ambientali del “pacchetto”, per smontarli subito dopo in quanto “onerosi”, “ingiusti” e addirittura “catastrofici” per le sorti dell’economia italiana. Nel corso degli ultimi mesi, tra l’altro, la crisi economica ha fornito un’altra giustificazione al Governo italiano, il quale ha cominciato a sollevare obiezioni fondate sulla congiuntura negativa che, dal suo punto di vista, dovrebbe spingere a conservare piuttosto che a innovare. Un approccio paragonabile al consiglio del premier Berlusconi agli investitori di non vendere azioni e aspettare che passi la bufera, nonostante, da Obama in giù, l’unica ricetta ad oggi considerata vincente per uscire dalla crisi è quella di puntare sull’innovazione.
Nell’ambito del negoziato globale sul clima, tra pochi giorni comincerà la Conferenza di Poznan dalla quale il mondo attende risposte concrete, ma soprattutto si aspetta che l’Europa confermi la leadership dimostrata a Bali un anno fa. L’Italia allora dovrà decidere se essere un Paese europeo o essere il 51° Stato degli U.S.A. di Bush, il quale uscirà di scena a gennaio. Il nuovo Presidente americano Obama ha già dichiarato che gli U.S.A. cambieranno registro e spingeranno la comunità internazionale a combattere con determinazione per contrastare il cambiamento climatico. Obama ha anche preannunciato quella che sarà la sua politica interna in merito all’ambiente e all’energia: un investimento di 150 miliardi di dollari in 10 anni sulle energie verdi e la contestuale creazione di 5 milioni di nuovi posti di lavoro; massicce misure di risparmio energetico; progressiva sostituzione dell’attuale parco auto con vetture di tipo ibrido; ruolo crescente delle rinnovabili nella produzione di elettricità (almeno il 25% del totale entro il 2025); introduzione di un sistema nazionale vincolante di scambio di emissioni CO2.
Nei fatti, il programma di Obama è coerente e praticamente convergente con il pacchetto “clima – energia” europeo. Cosa farà il Governo italiano ora che gli U.S.A. ma anche la Cina – che ha deciso un forte investimento sulle energie rinnovabili e sul risparmio energetico nel pacchetto di risanamento di 600 miliardi di dollari – si muovono in una direzione diversa dal passato? Continuerà a tenere una posizione di retroguardia? No, non sarà così. Si accontenterà di qualche ritocco gridando al trionfo e alla premiazione della posizione italiana.
Per l’opposizione in Italia sarà una corsa a chi vorrà provare che non è così e che l’Italia ha perso. La comunità internazionale, semplicemente, tirerà un sospiro di sollievo.

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