Picco del petrolio reale, illusioni virtuali. La parola alla Iea

La notizia è di quelle che avrebbero dovuto scuotere il mondo dell’energia eppure tutto è passato sotto silenzio: il World Energy Outlook dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea), in pratica il termometro energetico del Mondo, ha avuto, per la prima volta, come focus principale il tasso di declino della produzione mondiale di greggio.
E i dati non sono incoraggianti.
La Iea, infatti, stima che il declino della produzione, utilizzando i dati dei 800 più grandi giacimenti di petrolio, compresi i 54 supergiganti, sarà del 8,6% annuo nel 2030, percentuale che potrebbe “scendere” al 6,4% se le compagnie petrolifere investissero, cosa che con il barile a 50 dollari è poco probabile, nella ricerca di nuovi giacimenti.
La notizia è stata ripresa dal Guardian e dal Financial Times in anticipo rispetto alla data di presentazione del rapporto, il 12 novembre 2008 e la Iea si è affrettata a smentirla, forse per non turbare i mercati, per poi confermarla nel rapporto solo una settimana dopo.
Ma il dato era comunque nell’aria visto che in una recente presentazione dell’agenzia stessa si ipotizzava una diminuzione “solo” del 5% annuo. In parole povere se il declino tendenziale dovessero essere “solo” del 5% annuo in soli cinque anni, ossia nel 2014, ci si troverebbe a fare i conti con una capacità produttiva delle risorse esistenti diminuita del 25%: un quarto secco. Vero è che il rapporto è pieno di condizionali che sembrano fatti apposta per rassicurare il mercato energetico del tipo: «Complessivamente le risorse sarebbero abbondanti, ma non c’è nessuna garanzia che esse saranno sfruttate in tempo, per soddisfare la domanda prevista». Ma verso la conclusione il rapporto recita: «A fronte di tutti gli elementi di incertezza sottolineati in questo studio, possiamo essere certi che nel 2030 il mondo energetico sarà molto diverso da quello attuale». E la Iea ne ha anche per il nucleare. Da oggi al 2030, infatti, l’atomo, perderà peso secondo l’agenzia, sulla domanda di energia primaria, passando dal 6% del 2008, al 5% del 2030, nonostante la realizzazione di nuove centrali, specialmente nei Paesi emergenti. In termini di produzione elettrica il nucleare registrerà un calo, dal 15% al 10%. Questi numeri parlano chiaro. Il nucleare non solo non è la soluzione, ma non avrà nemmeno la mera funzione di mitigazione delle tensioni energetiche future. Lasciando da parte le questioni tecniche che pure hanno un peso rilevante, c’è da chiedersi come mai nessun media italiano, agenzie stampa comprese, abbia ripreso una notizia di questa caratura, vista anche l’autorevolezza delle fonti. La cosa non stupisce, visto che la tesi del picco del petrolio, non viene presa in considerazione neanche da trasmissioni “battagliere” come Report. Nella trasmissione del 19 ottobre 2008, infatti, il picco del petrolio viene liquidato in due battute dall’ex direttore della programmazione di Eni, Marcello Colitti che afferma, senza contradditorio: «Io non sono molto convinto di questa teoria (il picco N.d.R.) perché le cose che si scoprono domani, oggi non si sanno, è molto semplice. E l’industria petrolifera si è sempre basata sulle sorprese». Del resto come sorprendersi se dal Governo arrivano dichiarazioni come quelle rilasciate all’Ansa il 29 ottobre 2008 nella quale il Presidente del Consiglio afferma: «La televisione pubblica, che dovrebbe cooperare perché le cose vadano al meglio, adesso è il principale punto di diffusione del pessimismo». E il capo del Governo si riferisce a notizie sulla crisi dei mutui e sulla scuola. Se questo è l’input dato dall’esecutivo ai media in materia di cronaca giornalistica possiamo tranquillamente aspettarci che la teoria del picco del petrolio rimarrà accuratamente chiusa nei cassetti, fino a quando non esploderà in tutta la sua evidenza. Forse sarebbe meglio dotarsi di strumenti, come l’efficienza energetica e le rinnovabili, in grado di controbilanciare il declino delle fonti fossili, come si sta facendo in Gran Bretagna, in Francia e in Germania, andando sulla linea, soprattutto, della nuova amministrazione statunitense. Oppure prendere semplicemente sul serio le conclusioni della Iea che affermano: «Il tempo sta finendo ed è giunto il momento di agire. Ora e subito». Sembra di ascoltare non la Iea, che storicamente si è distinta per una prudenza e un conservatorismo energetico da più parti giudicati eccessivi, ma un’associazione ambientalista. Forse anche l’utilizzo di questi linguaggi da parte dell’Agenzia è segno che i tempi stanno cambiando. Quasi per tutti. Sergio Ferraris, giornalista scientifico

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