Nuove norme tecniche per le costruzioni e difesa del suolo

Una prima versione del D.M. era stata già approvata il 14 Settembre 2005 (G. U. del 23 settembre 2005). Le “nuove norme tecniche per le costruzioni” sono in vigore dal 5 marzo 2008, contestualmente alla norma transitoria che, fino al 30 giugno 2009, dà la possibilità di operare – in alternativa – con le norme precedenti del 2005, a parte le eccezioni di esclusiva competenza statale. Mentre si attende la circolare esplicativa sulle norme tecniche, necessaria per alcuni parti che, in atto, non è possibile applicare, emergono una serie di criticità sia formali sia sostanziali. A seguito di queste, ad esempio, il Consiglio Nazionale dei Geologi che ha deciso di impugnare il D.M. dinanzi al TAR del Lazio, in quanto fortemente riduttivo delle competenze professionali di tipo geologico, invece già ampiamente contemplate nelle normative precedenti. Le “nuove norme tecniche per le costruzioni” prevedono anche la disciplina degli interventi operativi nel settore della difesa del suolo (Cap. 6.3) che dovrebbero applicarsi allo studio delle condizioni di stabilità dei pendii naturali, al progetto, alla esecuzione e al controllo degli interventi di stabilizzazione. Al di là della meritoria intenzione, il suddetto capitolo risulta incredibilmente generale e lacunoso, anche rispetto alle altre parti del dispositivo. Tra le varie incongruità non vengono definite le metodologie di indagine, come pure debolmente accennati i risultati attesi: si cita testualmente “…la scelta delle tipologie di indagine e misura, dell’ubicazione del numero di verticali da esplorare, della posizione e del numero dei campioni di terreno da prelevare e sottoporre a prove di laboratorio dipende dall’estensione dell’area, dalla disponibilità di informazioni provenienti da precedenti indagini e dalla complessità delle condizioni idrogeologiche e stratigrafiche del sito in esame…”. Quello che comunque sorprende maggiormente è la mancanza di qualsiasi riferimento all’inserimento ambientale e paesaggistico degli interventi previsti. Si cita esclusivamente che “…La scelta delle più idonee tipologie degli interventi di stabilizzazione deve essere effettuata solo dopo aver individuato le cause promotrici della frana e dipende, oltre che da queste, da forma e posizione della superficie di scorrimento…”. Nulla viene riportato a proposito dell’impatto ambientale delle soluzioni proposte, della necessità di correlare tali interventi a politiche più ampie di bacino, in considerazione della ormai raggiunta consapevolezza che la difesa del suolo, intesa nella sua accezione più ampia, prefigura il superamento della separazione tra i singoli interventi sul territorio e sull’ambiente. Quante detto in seguito alla consapevolezza della complessità delle interdipendenze e connessioni tra processi naturali, assetto ed utilizzazione del territorio, pianificazione urbanistica e territoriale. Questo incredibile ritorno ad una visione della difesa del suolo intesa come intervento puntuale svincolato dal contesto territoriale e che la tragedia di Sarno aveva oramai bocciato per anacronismo e anti-scientificità pone una serie di dubbi sulle effettive strategie in atto per la protezione dei cittadini: rimane soltanto da sperare che con la promulgazione della circolare esplicativa sulle norme tecniche tali lacune vengano in parte colmate, ben sapendo che sarà però difficile recuperare una prospettiva di più ampio respiro e di necessaria complessità ed articolazione come la società del moderna richiede. Se nel prossimo futuro si dovesse anche assistere alla contrazione delle competenze di difesa del suolo all’interno delle politiche ambientali, alla limitazione del ruolo delle autorità di bacino ed alla riduzione dei finanziamenti, si potrebbe affermare che l’Italia si allontana sempre più dall’Europa e dai paesi più moderni, sostituendo la programmazione (prevenzione) con l’intervento occasionale (emergenza).

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