Chi si prenderà le centrali di Berlusconi?

L’entusiasmo di Berlusconi e del resto del Governo, d’aver firmato il “patto nucleare” con la Francia, patto che prevede la costruzione di quattro centrali nucleari di terza generazione, la prima delle quali dovrebbe essere pronta per il 2020, non è stato provato da tutti, e l’ipotesi di tornare alle centrali diciamo che spacca in due l’Italia.
La maggioranza delle regioni dice “no, grazie”; qualcuna dice “già dato” o “sì, ma non qui”; insomma, solo una ristretta rosa di territori è disposta a mettersi davvero in fila per ospitare un sito.

Il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, assicura che “il clima è cambiato rispetto al referendum del 1987: c’è bisogno di energia certa a costi contenuti e credo che la gente lo abbia capito”. La sua convinzione, in linea di massima, trova riscontro in tutte le regioni governate dal centro-destra, ma l’equazione non è perfetta. In Lombardia, ad esempio, il presidente Formigoni ha preso tempo con un “vedremo, valuteremo, verificheremo”. Per quel che riguarda invece la Sardegna, nuovo feudo del Pdl, il neopresidente Ugo Cappellacci è stato chiarissimo: “State certi che dovrebbero passare sul mio corpo prima di fare una cosa simile. E comunque nessuna centrale in Sardegna: il presidente Berlusconi manterrà la promessa fatta. Ricordo anche che l’accordo programmatico da me firmato con il Partito Sardo d’Azione recita: riconoscimento della esigenza che tutto il territorio della Sardegna sia denuclearizzato”.
I “sì” netti ci sono, come quello del Veneto che si candida ad ospitare una centrale e pensa a Porto Tolle, dove già esiste un impianto a carbone, come quello del Friuli che prende in considerazione un raddoppio del sito slavo piazzato appena oltre confine, ma anche la possibile costruzione di un reattore ex-novo a Monfalcone. Poi ci sono i “sì” con qualche incognita come quello dell’Abruzzo, che giudica la strada del nucleare inevitabile però poi prende tempo sulla possibilità concreta di ospitare reattori, e il sì siciliano, anche se la provincia di Ragusa ha detto “no” visto che ha “già dato con Comiso”.

Tra i ”sì” sulla carta ci sono quelli della Liguria e della Campania: nel primo caso è più corretto parlare di assenza di preclusione al nucleare, visto che una presa di posizione ufficiale non c’è stata; nel caso della Campania, invece, si tratta di un “sì, ma da un’altra parte”. “Nulla in contrario – ha precisato l’assessore alle Attività produttive della Regione Campania – ma qui siamo pieni di energie rinnovabili, dovremmo sfruttare questa ricchezza”.

Ci sono poi i “no” secchi e sicuri da tutte le altre undici regioni, Calabria in testa (“tutti i paesi che lo hanno utilizzato stanno tornando indietro”). A tenere compagnia a queste regioni, ovviamente, gli ambientalisti: Ermente Realacci, esponente del Pd e presidente onorario di Legambiente, considera “il ritorno all’atomo un ennesimo spreco di denaro pubblico”. Infine, secondo gli Ecodem, ossia il gruppo ambientalista interno al Partito Democratico: “Servirebbe più serietà e competenza nell’informare su costi e benefici del nucleare”, e ha afferma questo contrapponendo i propri numeri alle “falsità” diffuse sull’accordo italo-francese che di seguito riportiamo.
Primo falso, le minori scorie: “Innanzitutto le quattro nuove centrali nucleari da 1,6 GW a tecnologia francese, da costruire nella penisola, non produrranno meno scorie: questi impianti di III generazione consumano infatti oltre 30 tonnellate di uranio arricchito all’anno che inevitabilmente generano rifiuti radioattivi”. Secondo falso, la quota di produzione: “E’ stato affermato che le quattro centrali produrranno a regime il 25 per cento del consumo nazionale: un dato assolutamente falso. Infatti quattro centrali da 1,6 GW potranno al massimo produrre 45 TWh che oggi rappresentano solo il 13 per cento del consumo nazionale”. Terzo falso, la necessità di avere una maggiore produzione di elettricità: “Non è assolutamente vero che l’Italia importa una grande quantità di energia elettrica dall’estero, per lo più dal nucleare francese: dall’estero importiamo solo il 12,5 per cento dell’energia, e il dato interessante è che ben l’80 per cento di quell’energia è prodotta da fonti rinnovabili, e non dal nucleare”. Quarta falsità, la spesa: “Le cifre stimate per l’analoga centrale finlandese in costruzione sono raddoppiate rispetto alle previsioni. Occorrono 20 miliardi di euro per quattro centrali, 5 ad impianto – sottolineano gli Ecodem –. Si tratta di numeri enormi che segnalano la necessità di reperire anche risorse private non ancora identificate. Elementi che evidenziano indubbiamente la non convenienza di questo accordo che si ripercuoterà inevitabilmente sulle tasche dei contribuenti”.

 

(fonti: ansa.it, repubblica.it)

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