LAZIO. Malagrotta, sigilli al gassificatore

All’impianto romano mancavano la certificazione di prevenzione incendi e altri requisiti di legge. Prima della data fissata per l’inaugurazione l’impianto era già in funzione. I carabinieri del Noe, su ordine della Procura di Roma, hanno sottoposto a sequestro preventivo il gassificatore di Malagrotta, risultato privo della certificazione di prevenzione incendi e di altri requisiti di legge. Inadempienze riferite dai carabinieri al procuratore della Repubblica di Roma e ai titolari del procedimento penale che hanno chiesto, in via d’urgenza, al Gip il sequestro preventivo. 
L’impianto servirà a bruciare in loco parte dei rifiuti urbani sotto la forma di cdr (combustibile da rifiuti). Il GIP ha ritenuto indubbio ed estremamente inquietante il periculum in mora desumibile dalla natura dell’attività svolta nell’impianto di gassificazione, dai materiali utilizzati per il processo di combustione e dalla presenza nelle immediate vicinanze di siti pericolosi, in particolare una raffineria ed un deposito di Gpl. Sussiste, infatti, fondato pericolo che la prosecuzione dell’esercizio dell’impianto e la libera disponibilità di cose pertinenti al reato possa agevolare o protrarre le conseguenze del reato, ovvero agevolare la commissione di altri reati, trattandosi di esercizio di impianto in totale carenza dei requisiti di legge. Il Gip ha peraltro autorizzato l’accesso e l’uso al solo fine di consentire il completamento dei lavori necessari alla messa in sicurezza, per poter così richiedere e ottenere il nulla osta dei Vigili del fuoco, necessario per l’attivazione dell’impianto.La discarica romana di Malagrotta era già finita sotto i riflettori, per la condanna inflitta dal giudice monocratico di Roma, Francesco Patrone, a Francesco Rando, responsabile della Giovi s.r.l per la gestione della discarica di Malagrotta. La pena è a un anno di reclusione, con 15mila euro di ammenda e il risarcimento dei danni morali e patrimoniali da liquidarsi in sede civile a favore di alcune delle parti lese costituitesi al processo. Motivo della condanna, lo smaltimento senza alcuna autorizzazione di rifiuti pericolosi derivanti dal trattamento chimico-fisico del percolato e dei fanghi conferiti dall’Acea nell’ottobre 2004, in violazione dei decreti legislativi 22/97 e 36/2003. Inoltre Rando è accusato di aver violato, nel maggio 2005, le procedure di ammissione in discarica di rifiuti speciali senza che vi fosse la documentazione e senza alcuna verifica degli stessi rifiuti, di cui lo stesso sarebbe anche stato produttore.

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