Le fonti di energia alternativa da area di nicchia a Decisive Action.

Gli approcci allo sviluppo più comunemente considerati sono tre: quello economico, che focalizza soprattutto gli aspetti legati alla crescita; quello ambientalistico, legato in primis alla tutela, quello sociologico, che privilegia gli aspetti relativi alla vita umana.

Come si evidenzia dalla figura (modificata da Giautzi M. e Nijkamp P., Decision support model for regional soustainable development, Avebury, Adershot, England, 1993), perseguire lo sviluppo sostenibile significa tenere conto di esigenze non solo ecologiche, ma anche economiche e sociali. Spesso le tre esigenze sono state considerate l’una antitetica alle altre, per cui il risultato migliore era ritenuto quello di collocarsi in una posizione di bisettrice rispetto alle tre dimensioni rappresentate graficamente: in una parola, misurando da 1 a 100 la possibilità di conseguire l’optimum su ciascun lato, raggiungere il 33% circa di ciascuna delle tre dimensioni. Ma la schematizzazione, che può aiutare alla comprensione immediata del problema, ha il difetto di essere semplicistica e non flessibile. Si può oggi parlare di una dimensione ecologica che non produca di per sé vantaggi economici? Si può parlare di una dimensione sociale che non tenga conto della “vera” qualità della vita? Si può pensare ad una dimensione economica in cui non si tiene conto dei guasti provocati dall’elusione di alcuni problemi (cambiamento climatico, inquinamento, ecc)? La risposta, naturalmente, è no. Il nostro modello di benessere richiede aria, acqua e cibi non inquinati, paesaggi non degradati mari e coste accoglienti, città capaci di contenere, proteggere ed esaltare i nostri immensi patrimoni culturali e nello stesso tempo capaci di esprimere funzioni ed organizzazioni in linea con le esigenze dalla vita contemporanea in tutti i suoi aspetti. Di qui il bisogno di rivolgere la nostra attenzione a sistemi di tutela e uso del territorio diversi e/o integrativi rispetto a quelli tradizionali. Le biomasse forestali, il settore fotovoltaico e termico, il settore idroelettrico e in misura limitata il comparto eolico risultano le principali risorse rinnovabili dei nostri territori. Queste risorse godono anche di incentivi ministeriali ma il loro sfruttamento a tutt’oggi è molto inferiore alle potenzialità espresse. Si sta però facendo strada con crescente incisività l’idea che la carta vincente della nuova edilizia e della nuova industria in generale poggia sulla progettazione e realizzazione di impianti dedicati al benessere delle persone nei diversi ambienti in cui si svolge la loro vita. In condizioni di clima assai variabili e tendenti all’estremizzazione (molto freddo, molto caldo; molta pioggia, assenza di pioggia) e in condizioni economiche di crisi, tre sono le condizioni da ottimizzare: 1. la possibilità di creare un equilibrio perfetto degli scarti termici cui è sottoposto il corpo umano; 2. l’abbassamento dei costi di gestione e l’utilizzo di fonti energetiche alternative ed ecologiche con la riduzione del movimento di polveri e di impurità dell’aria; 3. la possibilità di evitare sprechi delle risorse impropriamente dette rinnovabili, soprattutto l’acqua. Ecco quindi che nella costruzione degli edifici vanno privilegiati tutti gli accorgimenti che rendono sostenibile l’abitare: raccolta dell’acqua piovana, doppie condutture (per acqua potabile e non), sistema di raccolta dei rifiuti condominiali (con divisione tra umido e parte da differenziare), utilizzo di pannelli solari, di materiali isolanti, di vetri speciali, sistemi di emissione corretta dei degli impianti, e così via. Queste forme di nuova edilizia molto più delle tradizionali sostengono la forza lavoro (cosa non di poco peso nei momenti di crisi) e consentono notevoli risparmi sulle bollette energetiche. In questo senso le fonti di energia alternative possono darci un contributo essenziale che ci avvicina a traguardo -per ora ancora lontano- dello sviluppo sostenibile, mirante ad una diversa e diffusa qualità della vita, che non si limiti a soddisfare i soli bisogni della nostra generazione , ma punti a mantenere inalterate le possibilità delle generazioni future. E’ dunque sempre più evidente che occorre cambiare rotta, prima di tutto nella politica e nel governo dei nostri territori e nella mentalità comune. Il discorso si fa molto lungo e complesso, ma possiamo portare un esempio di per sé illuminante, nell’attuale contesto mondiale, di come occorra innovare gli attuali modelli di sviluppo e i rapporti economico-sociali. La crisi in atto ha determinato (e determinerà ancora di più nel prossimo futuro) una forte contrazione dei posti di lavoro, particolarmente sensibile nel comparto automobilistico e nel suo indotto. In Italia si parla di una perdita di 300.000 posti di lavoro (più un numero più o meno equivalente di lavoratori dell’indotto), cui il governo cercherà di far fronte soprattutto attraverso una nuova campagna di rottamazione ( si parla di 300 milioni di euro, contro i 2500 messi in campo dai britannici ). Qual è lo scenario ipotizzabile? Si ridurrà in minima parte la fuoruscita dei lavoratori anche grazie al ricorso allargato alla cassa integrazione e si aumenterà l’indebitamento delle classi meno abbienti, già messe in crisi dai mutui. Il tutto senza produrre nessun miglioramento sul piano della dimensione ecologica, né sotto il profilo della conoscenza scientifica, né sotto quello della competitività aziendale, né sotto quello dell’innalzamento del livello professionale degli addetti. Diverso l’atteggiamento del neo presidente americano, che propone di stimolare, attraverso un’incentivazione federale, la ricerca di nuovi motori ecologici, di produzione di auto elettriche, di sperimentazione di forme energetiche alternative: in questo modo Barack Obama dimostra di voler trasformare un momento di depressione mondiale in un’occasione per programmare un nuovo sviluppo, trasformando una crisi in un vantaggio competitivo. Naturalmente tutto ciò ha un costo: il processo deve essere iniziato con fatti certi e non con parole; non si può aspettare che cominci qualcun altro in Europa per poi andargli dietro (si arriverebbe perlomeno secondi). Ma, soprattutto, non ci si possono aspettare risultati immediati. Per poter immettere sul mercato mezzi di trasporto meno inquinanti a prezzi contenuti, occorrono almeno dieci anni di lavoro. Dunque, con attenzione al bene comune, occorre integrare il vecchio (sostegno di tipo tradizionale come ad es. la rottamazione) con il nuovo (innovazione e forme di utilizzo di energie alternative). Cominciare subito ad introdurre il nuovo ci porterà ad arrivare primi e la nostra esperienza e la nostra professionalità sono e devono rimanere i nostri assi nella manica.

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